Quale la precibilità chirurgica e quella long term della GBR?
Quali tecniche eseguire per il rilascio dei lembi?
Quando rimuovere le membrane, quando inserire gli impianti, quando caricare gli impianti?
Quali potenzialità in regioni estetiche?
Quali sono le complicanze e come gestirle?
Quale rigenerazione per la peri-implantite?
Quali sostituti ossei è opportuno usare?
Quali tecniche mucogengivali si devono eseguire in fase pre e post chirurgica?
Quali membrane impiegare? Non riassorbibili o riassorbibli? E quali riassorbibili?
Si possono lasciare le membrane esposte?
Quali sono le alternative alla GBR? Impianti corti? Rialzo del seno?
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Strumenti Chirurgici Teykos
La linea di strumenti chirurgici dentali Teykos™ è stata progettata pensando alle necessità dell’operatore clinico che esegue interventi d’implantologia e delle due procedure chirurgiche più comuni che le sono associate: la Guided Bone Regeneration (GBR) e il rialzo del seno mascellare.
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Visione panoramica tavolo operatorio
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Visione dei singoli strumenti per Implantologia, GBR e Sinus lift
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Trephine Faster e tradizionali
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Listino Teykos Strumenti Chirurgici 1.2015
Video: Corso Roberto Luongo, 23 Ottobre 2015, Bari
La riabilitazione implanto-protesica nelle aree ad alta valenza estetica
23 Ottobre 2015, Bari
dr. Roberto Luongo
Negli ultimi quindici anni la letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato la predicibilità a
lungo termine degli impianti osteointegrati. Spesso, però, il successo implantare, anche se
dimostrato a lungo termine, non è accompagnato da un buon risultato estetico. Sono molti, infatti,
i fattori da tenere in considerazione per ottenere un restauro su impianti che si integri
perfettamente e naturalmente alle corone dentali adiacenti, da un punto di vista biologico ed
estetico.
Scopo del corso è quello di fornire ai discenti le linee guida chirurgiche e protesiche per la
pianificazione di un corretto piano di trattamento implanto-protesico nel rispetto
dell’ottimizzazione della funzione masticatoria ripristinando un’estetica dentale ideale.
Durante l’incontro verranno eseguiti due interventi: uno di GBR e uno di “socket
preservation” entrambi in siti ad valenza estetica.
La procedura con membrane non riassorbibili è più sicura che in passato?
Dr Fabrizio Colombo
Dr Davide Garganese
Cosa succede se una membrana si espone? La procedura con membrane non riassorbibili è più sicura che in passato?
Le membrane non riassorbibili in PTFE sono riconosciute essere i materiali barriera che offrono i risultati ottimali e più predicibili in termini di volume e qualità dell’osso rigenerato. Tuttavia l’esposizione di membrane non riassorbibili, soprattutto se ad elevata porosità, è sempre stata considerata un fattore che conduceva ad un insuccesso clinico.
Cosa è cambiato con le membrane in dPTFE, a bassa porosità?
Nei mesi scorsi abbiamo già presentato alcuni protocolli disegnati per gestire l’eventuale esposizione accidentale.
Adesso di questi temi ne parliamo in un’intervista a due voci con due bravi clinici della nuova generazione: il dr Fabrizio Colombo di Como ed il dr Davide Garganese di Napoli.
Ecco la loro storia, la loro esperienza clinica e come affrontano le esposizioni. Ce lo raccontano mostrandoci anche due loro casi, complessi e ben condotti, in cui è avvenuta un’esposizione accidentale della membrane in dPTFE Cytoplast.
Quando avete iniziato a impiegare le membrane non riassorbibili?
Dr Colombo: il mio approccio all’utilizzo di membrane non riassorbibili risale a circa cinque anni fa.
Dr Garganese: ho iniziato ad usare le membrane non riassorbibili in PTFE espanso diversi anni fa. Per la verità, all’epoca i risultati non sono stati confortanti e predicibili e, dopo diversi insuccessi, ho abbandonato le membrane in e-ptfe.
Come e perché avete iniziato?
Dr Colombo: i limiti delle tecniche di chirurgia rigenerativa da me utilizzate in passato mi hanno spinto ad avvicinarmi a questa metodica. I casi clinici che presentavano difetti ossei venivano da me affrontati mediante GBR con utilizzo di membrane riassorbibili o ricostruzione con osso autologo in blocchi prelevato in sede intra-orale. Le prime sono indicate per piccoli difetti orizzontali e contenitivi e non consentono di ottenere grandi quote di osso rigenerato soprattutto in casi di difetti tridimensionali, mentre i blocchi sono indicati per casi atrofie più articolate, sono caratterizzati da un’invasività operatoria accentuata e non permettono il posizionamento degli impianti nella stessa seduta della ricostruzione dilazionando i tempi terapeutici.
Dr Garganese: Dopo in miei insuccessi iniziali, sono rimasto però affascinato dai risultati dei maestri, ben documentati in letteratura, ho perfezionato la tecnica ed ho seguito con dovizia di particolari le linee guida delle procedure di GBR, ricominciando ad utilizzare membrane non riassorbibili.
Avete avuto esposizioni?
Dr Colombo: Inevitabilmente esiste una curva d’apprendimento che passa anche attraverso la tanto temuta esposizione della membrana e che, personalmente, ho dovuto affrontare.
Dr Garganese: Oggi, grazie alla meticolosa applicazione di un protocollo chirurgico ed alla corretta gestione dei lembi, le esposizioni delle membrane sono drasticamente ridotte.
In caso di esposizione come vi siete comportati?
Dr Colombo: l’atteggiamento terapeutico dipende dal periodo d’insorgenza dell’evento e dall’entità della superficie interessata.
In caso d’esposizione precoce (entro le prime 3-4 settimane) ritengo che la soluzione migliore sia la rimozione del complesso membrana-innesto ed eventuali impianti endo-ossei posizionati.
CASO CLINICO DR. COLOMBO
Agenesia dei laterali superiori con trattamento impianto protesico e tecnica rigenerativa GBR
Qualora l’esposizione sia tardiva (a 5 mesi come nel caso del caso del poster), consiglio al paziente di tenere disinfettata l’area interessata con CHX 0,2% per evitare l’insorgenza d’infezioni della ferita e permettere così all’innesto di maturare il più possibile; durante la successiva seduta di rimozione della membrana viene valutato lo stato dell’innesto ed asportato l’eventuale tessuto superficiale danneggiato dalla complicanza. Nel caso in cui l’innesto sia immaturo, è indicato collocare delle membrane riassorbibili a protezione dello stesso cercando di garantire una chiusura di prima intenzione della ferita.
Dr Garganese: in passato l’esposizione di una membrana in e-ptfe è sempre stata considerata un problema in grado di influenzare negativamente il risultato di una GBR. Le membrane Cytoplast , costituite di politetrafluoroetilene denso, grazie alla dimensione ridotta dei pori non permettono il passaggio dei batteri, almeno fin quando l’esposizione è lontana dai margini della membrana.
Questo ci permette una gestione dell’esposizione meno drastica rispetto al passato.
Nel caso presentato nel poster l’esposizione è sopraggiunta tre mesi dopo la procedura di GBR , era centrale e lontana dai margini della membrana.
Pertanto ho:
- posto la pz. sotto copertura antibiotica (1/2 gr. di amoxicillina + ac. clavulanico x 2 al di’)
- istruito la pz. su come detergere la membrana con clorexidina 3 volte al di’
- monitorato la pz. con controlli settimanali
- eseguito rx endorali per verificare che non vi fossero infezioni,al di sotto della membrana, non visibili clinicamente.
CASO CLINICO DR. GARGANESE
Rigenerazione ossea verticale con l’impiego di membrana in
d-PTFE rinforzata in titanio
Ho mantenuto la membrana esposta per 5 settimane, aspettando l’ulteriore maturazione dell’innesto.
Al primo segnale di flogosi, sono intervenuto per rimuovere la membrana; al di sotto di essa era presente un modesto essudato,al di sotto del quale era presente un tessuto osteoide ancora immaturo, ma ben rappresentato.
Ho posizionato,a protezione, del tessuto neoformato un doppio strato di membrane in collagene a lento riassorbimento e ho suturato i lembi, senza cercare una chiusura per prima intenzione .
In che misura l’esposizione ha influenzato il risultato?
Dr Colombo: ho dovuto affrontare esposizioni che purtroppo hanno compromesso in toto la rigenerazione effettuata costringendomi a un intervento di rimozione, pulizia e successivo rifacimento della terapia dopo un adeguato tempo di guarigione. Fortunatamente mi è capitato di gestire anche casi di esposizioni che non hanno minimamente influenzato il risultato finale dell’innesto eseguito poiché avvenute in fase di guarigione avanzata quando la rigenerazione ha caratteristiche più stabili.
Dr Garganese: nel caso presentato l’esposizione della membrana ha causato la perdita di una piccola percentuale dell’ innesto, che è stato poi rimpiazzato al momento del posizionamento degli impianti.
Minima perdita a carico dei tessuti molli.
Quali sono secondo voi le possibili cause d’esposizione?
Dr Colombo: una probabile causa può essere imputabile a una non corretta gestione intraoperatoria della chirurgia ( dal disegno del lembo crestale alla chiusura ermetica della ferita). Altra possibile causa d’esposizione potrebbe essere riconducibile all’azione esercitata dalle cuspidi dei denti antagonisti (magari leggermente estrusi) che impattano, lesionandoli, sui tessuti della ferita chirurgica rigonfia durante le fasi dell’immediato post-operatorio.
Le esposizioni tardive possono essere causate da eventi traumatici accidentali o dal fisiologico assottigliamento dei tessuti molli durante le fasi di guarigione soprattutto in prossimità dei chiodini o delle viti di fissazione della membrana.
Dr Garganese: la corretta gestione dei lembi è la chiave del successo di una procedura di GBR.
L’appropriata passivazione di un lembo ci permette una chiusura per prima intenzione, libera da tensione.
In questo caso particolare, ho deciso di innestare tessuto molle prima della procedura di GBR, per migliorare qualità e quantità dello stesso; questo d’altra parte ha reso più impegnativa la mobilizzazione del lembo.
Ritenete che esista una differenza significativa tra l’impiego delle membrane riassorbibili e non riassorbibili con il rinforzo in titanio?
Dr Colombo: la tecnica chirurgica che contempla l’utilizzo di membrane non riassorbibili rinforzate richiede buona esperienza ed elevate capacità chirurgiche ed è senza dubbio più impegnativa e indaginosa se paragonata a quella eseguita con membrane riassorbibili. Per contro, il vantaggio di tale metodica è di mantenere la stabilità dimensionale nel tempo e consentire all’innesto osseo di maturare senza ricevere insulti nelle delicate fasi di guarigione garantendo risultati soddisfacenti anche in casi di rigenerazione di difetti impegnativi come quelli tridimensionali. Inoltre, il rientro chirurgico consente al clinico di valutare quantità e mineralizzazione dell’osso neoformato, informazioni preziose che permettono di modulare una successiva fase di carico protesico progressivo.
L’utilizzo delle membrane riassorbibili nella mia pratica quotidiana è limitata alla correzione di difetti orizzontali di modesta entità.
Dr Garganese: ritengo che qualora si affrontino rigenerazioni ossee biologicamente impegnative, come i difetti ossei verticali, l’utilizzo del d-ptfe garantisce un effetto barriera di lunga durata , indispensabile per risultati soddisfacenti e che il rinforzo in titanio conferisca una migliore capacità di “space making”.
Personalmente riservo l’utilizzo di membrane riassorbibili per la gestione di difetti ossei meno importanti, o per rigenerazioni ossee di tipo orizzontali.
Che cosa vi piace di più nella vita e nella professione?
Dr Colombo: Dedico gran parte del mio tempo libero alla famiglia, all’attività sportiva e alla mia grande passione per la musica; gli hobbies mi distolgono dallo stress quotidiano che la professione ci impone. L’aspetto che maggiormente mi gratifica dell’attività professionale è la possibilità di interfacciarmi costantemente con i pazienti, le loro esperienze di vita e i loro percorsi differenti, e la consapevolezza di poter aumentare la loro qualità di vita con le terapie odontoiatriche eseguite.
Dr Garganese: Prima di tutto la mia famiglia, ed i miei due figli meravigliosi, con i quali condivido l’amore
per lo sport e per lo sci nautico. La mia professione è per me passione e divertimento, ogni giorno mi suscita nuovi stimoli.
A colloquio con il Dr. Roberto Abundo
Abbiamo incontrato il dr Roberto Abundo, allievo del dr Giuseppe Corrente, con il quale condivide la professione alla SICOR di Torino limitatamente a parodontologia e chirurgia implantare. Il dr Abundo è molto conosciuto per le sue pubblicazioni e la sua attività didattica in parodontologia ma l’abbiamo intervistato su temi meno conosciuti.
Non tutti sanno che il vostro gruppo a Torino alla fine degli anni 90 è stato il primo, in Italia, ad utilizzare le membrane in PTFE denso intenzionalmente esposte. Qual è il vostro pensiero oggi?
R – Le esperienze maturate in quegli anni ci avevano portato a considerare le membrane in PTFE denso come una prima scelta in particolari situazioni. Prova ne è il fatto che nel nostro testo sulle tecniche post estrattive immediate del 2003 questo tema era ben descritto. Purtroppo questo tipo di membrana uscì dal mercato italiano proprio in quegli anni per cessazione di un contratto distributivo e non potemmo proseguire l’esperienza. E’ stata immediate la ripresa dell’utilizzo di questo dispositivo nel momento in cui è stato nuovamente disponibile in Italia con De Ore.
D – Quali sono le indicazioni principe delle membrane in dPTFE?
A nostro avviso questa membrana trova indicazione assoluta nelle situazioni in cui non sia sufficiente preservare un volume all’interno di pareti ossee integre ma occorre davvero rigenerare anche la parete vestibolare mancante per gran parte della sua estensione. Guarda un caso clinico
D – Come inserite la membrana nel sito?
R – Dopo aver creato una busta con uno scollatore lungo i margini del difetto e talora lungo i margini alveolari, inseriamo la membrana sul versante vestibolare, riempiamo il difetto con biomateriale particolato e quindi calziamo il dispositivo tra i margini gengivali residui e il piano osseo ribaltandolo sopra la beanza alveolare. Di norma una sutura a materassaio esterno incrociata, non passante per la membrana, ingabbia il tutto; a volte il perfetto adattamento lungo tutto il perimetro tra piano osseo e gengiva rende non necessario l’utilizzo della sutura.
D – Quanto tempo lascia esposta la membrana?
R – Abitualmente rimuoviamo il dispositivo a 6 settimane, un periodo persino più lungo rispetto a quanto raccomandato dai protocolli americani (4 settimane), avendo ormai esperienza dell’ottima tollerabilità per i tessuti e della minima penetrazione batterica attraverso un’area esposta davvero limitata.
D – Come mantiene pulita la membrana?
R – Il paziente è istruito ad utilizzare clorexidina in spray sull’area esposta due/tre volte al giorno al termine delle normali manovre di igiene anche sui denti contigui.
D – Utilizza da molto tempo le suture Cytoplast® in PTFE. Che cos’è che le piace di più?
R – Oltre all’ottima biocompatibilità ed alla minima ritenzione di placca anche in lunghi periodi di permanenza in sede, apprezzo molto la possibilità di regolare la tensione del nodo anche quando siano già state serrate le anse del nodo stesso. Questa caratteristica, che permette un più agevole e assai preciso management delle fasi di sutura, è particolarmente apprezzata non solo dai cultori della materia, ma anche dai neofiti che spesso trovano in questo dettaglio chirurgico le maggiori difficoltà operative.
D – In quali indicazioni impiega le suture Cytoplast®?
R – Le caratteristiche stesse della sutura in PTFE rappresentano un vantaggio in qualunque situazione clinica, ma le indicazioni principali sono rappresentate dalla chirurgia rigenerativa, parodontale e peri-implantare e dalla chirurgia plastica parodontale.
D – Usa altre suture?
R – Sono rimasto molto sorpreso anche dal comportamento del Seralene (Serag – Wiessner) che uso nei 6/0. Mi aspettavo che come polipropilene fosse rigido ma con sorpresa l’ho trovato assai morbido. Infatti poi ho scoperto che non si tratta di polipropilene ma di PVDF, un monofilamento in polivinildenafluoride della stessa famiglia del PTFE.
D – Abbiamo introdotto recentemente Seratan, il primo filo da sutura in titanio. Ci da una sua prima impressione?
R – La sua biocompatibilità è davvero altissima: in cinque giorni ho avuto modo di rilevare delle guarigioni sorprendenti! (ndr: guarda i casi clinici)
D – Oltre al suo lavoro, che si capisce che ama moltissimo, che cosa apprezza di più nella vita?
R – In primis moglie e figlia e poi, tempo a disposizione permettendo, la pittura (intesa sia come mostre/musei da visitare che come arte da praticare in prima persona) Per chi non conoscesse questo aspetto e’ possibile visitare il mio sito www.abundoart.com Inoltre, quando con la famiglia si riesce a ritagliare un periodo di vacanza non troppo breve – sempre più’ di rado in verità – mi piace fuggire a Cuba e estraniarmi per un po’ da gengive e osso…
Il dr Abundo affronta questi argomenti all’interno del corso di parodontologia che tiene a Torino insieme al dr Corrente.
Guarda la brochure del corso
Socket preservation, GTR, GBR – Equimatrix®
Nuovo studio multicentrico sulla socket preservation
- 17 siti estrattivi
- nessuna complicanza
- risultati istologici e istomorfometrici
- impianti inseriti in tutti i siti
E’ stato pubblicato un nuovo studio multicentrico del dr Myron Nevins e alcuni tra i più riconosciuti clinici internazionali sulla socket preservation con l’impiego di Equimatrix™, il sostituto osseo eterologo di Osteohealth/Nibec che De Ore distribuisce in Italia.
I risultati che vengono illustrati e discussi sono tra i migliori in assoluto
Di Equimatrix® ne parliamo con il dr Fabrizio Belleggia di Roma che condivide con noi opinioni e casi clinici.
D – Qual è la sua personale opinione clinica su Equimatrix®?
R – Trovo che sia un ottimo sostituto d’osso, con le giuste granulometrie, per affrontare tanto i piccoli difetti parodontali come i grandi difetti di rigenerazione ossea pre-implantare. Sebbene cerchi sempre di utilizzare l’osso autologo, nei casi in cui quest’ultimo sia in esigua quantità o del tutto assente, non mi faccio più di tanto problemi perché so che questo materiale mi darà comunque un ottimo risultato clinico.
D – Ha anche evidenze istologiche?
R – Sì, essendo un fautore dello “staged approach”, molto spesso ho l’occasione di prelevare un campione per l’analisi istologica prima di inserire l’impianto. Quello che ho trovato è una quantità residua di particelle di Equimatrix® inferiore rispetto ad altri sostituti ossei che ho largamente utilizzato in passato e conseguentemente una maggior presenza di osso neoformato.
D – Cosa ne pensa del nuovo studio multicentrico sulla socket preservation?
R – Avvalora ancor di più quelle che sono le mie sensazioni cliniche ed istologiche. Un materiale che è in grado di formare il 29% di nuovo osso a 6 mesi dall’innesto fornisce elevate garanzie che l’impianto possa osteointegrarsi in modo corretto.
D – In quali situazioni cliniche userebbe Equimatrix®?
R – Come tutti i materiali eterologhi, la cui struttura presenta un lungo riassorbimento, è fortemente indicato in tutte quelle situazioni dove il mantenimento del volume crestale è di primaria importanza, come appunto la ricostruzione di aree con alta valenza estetica, la socket preservation, ma anche gli interventi di rigenerazione parodontale e i rialzi di seno mascellare.
D – Equimatrix® è un tessuto di origine equina. Crede ci sia una differenza con l’osso di derivazione bovina?
R. – Credo che la differenza non dipenda dall’animale donatore ma dal processo di lavorazione, che non è uguale tra le varie aziende produttrici. In teoria hanno strutture molto simili, ed entrambi assomigliano all’osso umano. Se ci riferiamo nello specifico a Equimatrix® in diversi studi pubblicati* i risultati sono dichiarati come almeno sovrapponibili a quelli dell’osso di origine bovina. Essendo poi di origine equina, mi fa star tranquillo su possibili infezioni da BSE, dal momento che un recente articolo di revisione della letteratura** sui sostituti di origine bovina non fuga affatto i dubbi in merito ai rischi di trasmissione di malattie attraverso prioni non inattivati.
*
1 – Periodontal regeneration capacity of equine particulate bone in canine alveolar bone defects. Tae-Il Kim, J Periodontal Implant Sci 2010;40:220-226 • doi: 10.5051/jpis.2010.40.5.220
2 – Equine-derived bone mineral matrix for maxillary sinus floor augmentation: a clinical, radiographic, histologic, and histomorphometric case series. Nevins M, Heinemann F, Janke UW, Lombardi T, Nisand D, Rocchietta I, Santoro G, Schupbach P, Kim DM. Int J Periodontics Restorative Dent. 2013 Jul-Aug;33(4):483-9. doi: 10.11607/prd.1728
3 – Socket preservation procedure with equine bone mineral: a case series. Nevins M, Cappetta E.G., Cullum D, Khang W.,MIsch C.,Ricchetti P., Sclar A., Wallace S.S., Kuan.Te Ho D., Kim D.M. Int J Periodontics Restorative Dent 2014;34(suppl):s51-s57.doi:10.11607/prd.2139
**
Risk of Prion Disease Transmission through Bovine-Derived Bone Substitutes: A Systematic Review Yeoungsug Kim, DDS * Hessam Nowzari, DDS; PhD; Sandra K. Rich, MPH, PhD DOI 10.1111/j.1708-8208.2011.00407.x
Settembre 2009 – Settembre 2014:
5 anni di De Ore.
In primo piano
Sono passati 5 anni da quando è stata creata De Ore®!
Un po’ spontaneamente, ma con un certo rigore, abbiamo pubblicato sul nostro sito tanti casi clinici eseguiti dai nostri clienti che hanno scelto di utilizzare i materiali da noi attentamente selezionati e distribuiti.
Per celebrare i nostri primi 5 anni d’attività ne abbiamo raccolti alcuni in un booklet visualizzabile cliccando qui sotto. Inevitabilmente ne abbiamo tralasciati altri, che sono comunque consultabili dal sito.
Non saremmo arrivati a questo primo traguardo senza tanti odontoiatri che ci hanno dato fiducia, senza gli autori di questi case report e senza i relatori con i quali abbiamo organizzato bellissimi corsi in tutta Italia.
Ringraziamo quindi tutti con l’augurio di molti nuovi mm di rigenerazione!
Il team di De Ore®.
Clicca qui per consultare il booklet dei casi clinici
C’è un impianto ideale per la rigenerazione?
Ne parliamo con il Prof. Massimo Simion
Si è sempre discusso su quale fosse la membrana ed il sostituto osseo che dessero i migliori risultati nella terapia rigenerativa GBR. Forse sono state più trascurate le considerazioni in merito a quale fosse l’impianto più indicato. Ne parliamo con il prof. Massimo Simion che recentemente ha cambiato i paradigmi tradizionali in merito alla necessità di avere superfici implantari ruvide e auspica un ritorno alle superfici “machined”.
D – Prof. Simion, ci sono considerazioni particolari in merito al tipo di impianto da scegliere per la terapia rigenerativa?
R – Certamente sì. L’inserimento di un impianto in osso rigenerato o da rigenerare pone problemi diversi rispetto ai casi che non richiedono rigenerazione. E’ fuori discussione che negli aumenti tridimensionali con innesti a blocco subentri un’importante quota di riassorbimento osseo che può arrivare al 40% o anche al 50%. Questo è di per sé un dato che mi lascia alquanto perplesso rispetto a queste soluzioni ma è chiaro che, qualora per vari motivi, si decidesse di ricorrere a innesti a blocco, la scelta dell’impianto è fondamentale.
D – Perché?
R – Al fine di ridurre la contaminazione batterica sulle superfici che si dovessero esporre è opportuno usare un impianto con superficie “liscia”o “machined”. Come è stato dimostrato dagli studi del Prof. Tord Berglund, le superfici “machined” non favoriscono il proliferare dei batteri e l’instaurarsi o il progredire della peri-implantite. Diversamente, l’esposizione di superfici ruvide crea un grave problema di contaminazione e di progressiva e ulteriore perdita di osso. Trovo che impiegare un impianto a superficie ruvida in associazione ad un aumento con innesto osseo sia una controindicazione assoluta.
D – E per quanto riguarda la GBR?
R – Diversamente dagli innesti, bisogna distinguere tra correzione di piccoli difetti e tra rigenerazione verticale e orizzontale. I piccoli difetti sono facili da trattare anche con membrane riassorbibili, ma è chiaro che il rischio d’esposizione potenzialmente c’è sempre. In questi casi non ci si deve solo preoccupare della guarigione dei tessuti molli, ma si deve riflettere sull’inevitabile contaminazione di innesto e superficie implantare in caso d’esposizione. Non ho alcun dubbio che sia meglio impiegare un impianto con superficie liscia.
D – Per quanto riguarda invece gli aumenti di volume con la GBR?
R – I volumi orizzontali sono sempre molto ben mantenuti nel tempo soprattutto con l’impiego di membrane in PTFE. Negli aumenti verticali alcuni autori lamentano una quota di rimodellamento osseo più o meno importante mentre altri, sottolineando l’importanza della dimensione orizzontale in associazione alla verticale, hanno risultati più stabili nel tempo. E’ chiaro, comunque, che in ogni caso è opportuno difendersi dai rischi di rimodellamento osseo e di contaminazione della superficie implantare utilizzando superfici lisce e non solo nel collare coronale.
D – La sua opinione personale?
R – I miei casi di GBR verticale eseguiti agli inizi degli anni 90 con impianti Branemark machined sono ancora perfetti.
D – Ma una superficie trattata non può agevolare la formazione ossea e la rigenerazione?
R – Come ho dimostrato con recenti studi sperimentali la velocità dell’osteointegrazione, il BIC, non dipende dalla superficie ma dalla formazione ossea che parte dai trucioli ossei dell’inserimento. Pertanto sono certo che le superfici ruvide siano ininfluenti, se non negative, nel delicato ambiente della rigenerazione dove ci sono già diverse variabili da tenere sotto controllo. Togliere la variabile di una superficie ruvida è di per sé un grande passo avanti nella riduzione dei rischi.
D – Il disegno dell’impianto fa la differenza?
R – Certamente. Quello che conta è la possibilità di inserire impianti in scarso osso residuo ottenendo comunque una speciale stabilità primaria. Questa infatti non è solo conditio sine qua non per il carico immediato, ma anche per la stabilità biologica dei tessuti da rigenerare. Quindi è necessario utilizzare impianti che, grazie al loro design con spire particolarmente aggressive, garantiscano un’importante stabilità iniziale, anche in presenza di scarsissimo osso residuo.
Per approfondire questi e altri argomenti iscriviti a Osteointegration Revisited, 11 e 12 Aprile 2014, Padova. Un corso pratico consente anche la prova di tecniche rigenerative con membrane, sostituti ossei e sistema di fissazione Profix®. Scarica la locandina con programma e scheda d’iscrizione su www.imax3.com
Come comportarsi con le membrane che si espongono. Ne parliamo con il dr Fabrizio Belleggia
Come si comportano le membrane Cytoplast se si espongono? Quale protocollo si può seguire? Che tipo di risultato ci si può aspettare?
Abbiamo intervistato il dr. Fabrizio Belleggia, socio attivo della Società Italiana di Implantologia Osteointegrata (SIO), al recente congresso a Milano della stessa società scientifica.
In occasione di questo evento il dr Belleggia ha presentato un “poker” di quattro interessanti poster. In uno di questi ha proposto un protocollo di trattamento per l’esposizione delle membrane in PTFE ad alta densità suscitando un notevole interesse. Il poster è arrivato tra i 5 finalisti.
D – Potrebbe spiegarci come è nato questo protocollo di trattamento?
R – L’esposizione delle membrane in PTFE ha da sempre rappresentato l’incubo del clinico che si confronta con la GBR con barriere non riassorbibili. Infatti sono note le infezioni causate dai batteri che attraversavano le barriere in PTFE espanso (Gore-Tex), ritirate dal mercato, causando un esito negativo della terapia ricostruttiva con esiti a volte addirittura peggiori delle condizioni di partenza. La membrana in PTFE denso (Cytoplast®), invece, è impermeabile ai batteri e offre la possibilità di monitorare la situazione con più calma, consentendo un’eventuale esposizione di una membrana il più a lungo possibile affinchè il materiale da innesto al di sotto possa maturare.
D – Tutte le esposizioni sono uguali?
R – E’ importante tenere la membrana il più pulita possibile ma è chiaro che se la deiscenza dei tessuti molli si avvicina pericolosamente ai margini della membrana, allora deve scattare un campanello di allarme: prima che i batteri possano guadagnare l’unica porta di accesso all’innesto osseo, causandone la distruzione, dobbiamo rimuoverla. A questo punto, al di sotto della membrana e sopra l’innesto osseo troviamo quasi sempre uno strato più o meno spesso di tessuto connettivo. Questo strato non è sufficiente a proteggere l’osso che non ha avuto il tempo di maturare.D – Come suggerisce di comportarsi?
R – Personalmente trovo appropriato utilizzare una membrana in collagene a lungo riassorbimento, come la Cytoplast® RTM Collagen, per avere un efficace effetto barriera di protezione dell’innesto.
Tuttavia ci troviamo anche a dover compensare una perdita dei tessuti molli per coprire la membrana in collagene e non farla riassorbire, perdendo prematuramente la sua funzione.
La passivazione dei lembi, quasi sempre infiammati, con incisioni periostali porterebbe ad un’ulteriore perdita di fornice e ad un’imprevedibile chiusura per prima intenzione, nonché a maggiore stress e morbilità per il paziente.
Pertanto ritengo utile impiegare un vello di collagene puro, Medicipio C, per guidare i tessuti molli ad una guarigione per seconda intenzione.
D – Perché Medicipio C?
R – Utilizzo Medicipio C principalmente per l’emostasi dei siti donatori di innesti gengivali sul palato ed ho osservato, nei casi in cui l’impacco parodontale messo a protezione cadeva dopo 2-3 giorni, che, a differenza di altri prodotti in collagene come il Condress che dopo 2 giorni erano completamente riassorbiti, Medicipio C era ancora presente. La sua permanenza anche dopo 20-30 giorni e la progressiva sostituzione con tessuto gengivale mi hanno fatto supporre che anche in una condizione come quella di una grande perdita gengivale associata all’esposizione di una membrana in PTFE, il vello di collagene Medicipio C avrebbe potuto guidare i tessuti alla copertura. Nel caso presentato nel poster, ad esempio, si è formato un tessuto cheratinizzato che ha protetto la sottostante membrana riassorbibile e l’innesto osseo che, dopo un periodo di maturazione adeguato di più di 10 mesi, si è fatto apprezzare sia radiograficamente che istologicamente, presentando osso vitale di nuova formazione e nessun segno di infiltrato infiammatorio dovuto ad infezione.
D – Trattandosi di una perdita di tessuto molle, non pensa che un’innesto gengivale libero prelevato dal palato, possa compensare questa perdita?R – In passato avevo provato in due casi, dove avevo inserito contestualmente gli impianti, ad usare un innesto gengivale libero parzialmente disepitelizzato in maniera da aumentarne il letto vascolare lateralmente. Il trattamento però non ha avuto successo. Entrambe gli innesti sono andati in necrosi portando poi ad una perdita della porzione più coronale dell’innesto osseo sottostante. Il motivo è da ricercare nello scadente letto vascolare rappresentato dal tessuto poco vascolarizzato che ricopre l’innesto e nel fatto che il lembo primario che presenta la deiscenza tende a riepitelizzarsi. Poiché l’epitelio non offre un apporto vascolare e anche la presenza della testa dell’impianto rappresenta un ostacolo alla rivascolarizzazione dell’innesto gengivale libero.
Il dr Fabrizio Belleggia tiene un corso di aumento di tessuti peri-implantari sia duri che molli presso il suo studio a Roma. Guarda la locandina
Guarda gli altri poster del dr Belleggia presentati alla SIO
- Allograft versus autogeous graft in horizontal guided bone regeneration procedures with d-PTFE membranes. Clinical and hitological outcome
- Autogenous bone block versus guided bone regeneration with dense polytetrafluoroethylene membrane in mandibular vertical ridge aumentation
- Bovine collagen type 1 versus titanium reinforced PTFE membrane. Clinical and histological evaluation of GBR procedures in horizontal defects
Cytoplast RTM Collagen. Ne parliamo con il dr Marzio Todisco
L’utilizzo delle membrane riassorbibili in GBR è frequente ma la loro efficacia è spesso controversa.
Per approfondire e fare chiarezza su questi temi ne parliamo con il dr Marzio Todisco di Desenzano del Garda che utilizza sia membrane in PTFE che membrane riassorbibili.
D – Dr Todisco, cosa pensa dell’impiego delle riassorbibili?
R – Concordo che il loro impiego è a dir poco controverso.
La letteratura internazionale non fornisce, nel modo più assoluto, risultati univoci sul reale effetto barriera (principio fondamentale nella tecnica della GBR) delle membrane riassorbibili.
Possiamo affermare che, tra le membrane riassorbibili, quelle naturali, e in particolare quelle in collagene, sono tra le più impiegate. Inoltre è doveroso anche sottolineare che non tutte le membrane riassorbibili hanno caratteristiche sovrapponibili relativamente al mantenimento dello spazio e soprattutto al tempo del loro riassorbimento.
Purtroppo molte aziende con la compartecipazione di molti colleghi diffondono finte verità in merito a diversi aspetti.
D – Ovvero?
R – Mi riferisco:
- alla possibilità di ottenere tessuto mineralizzato dopo poche settimane di permanenza della membrana
- alla possibilità di ottenere GBR di successo anche con membrane esposte
- alla possibilità di ottenere GBR di successo senza sistemi di fissaggio delle membrane
Contesto queste affermazioni perché:
- La letteratura accreditata e più attendibile riconosce in minimo 5-6 mesi il tempo necessario per ottenere esiti soddisfacenti dopo GBR. Molte membrane in collagene (soprattutto se non cross-linked) si bio-degradano in poche settimane. Tali membrane potrebbero avere altre applicazioni (es. Guided Tissue Regeneration, GTR) ma sicuramente non nella ricostruzione dell’osso.
- Anche le membrane riassorbibili non si devono MAI esporre. Una membrana esposta si degrada ancora più rapidamente per effetto di enzimi proteolitici di provenienza batterica, macrofagica e da polimorfonucleati. Oggettivamente il fallimento in caso di esposizione è sempre totale.
- Le membrane devono essere SEMPRE fissate. Anche questa è una verità incontrovertibile ma purtroppo, anche su palcoscenici importanti, si vedono relazioni in cui il posizionamento di 1 o 2 membrane in collagene in siti ove è richiesta rigenerazione avviene senza fissaggio. Ovviamente, non è mai dato verificare, con una riapertura dimostrativa, cosa realmente succede (o meglio non succede) in siti così trattati. Diverso è se la membrana ha un semplice effetto di contenimento ma in tal caso bisogna non confondere le indicazioni chiamando membrana quello che è un collagene con una semplice funzione contenitiva.
D – C’è una differenza tra membrane cross linked e non cross linked?
R – Sebbene molta letteratura sottolinea che taluni sistemi di cross-linking (vedi cross-linking chimici con glutaraldeide GA) possano dare origine a reazioni tissutali indesiderate avendo anche effetti negativi sulla capacità osteo-promotrice propria del collagene, nella realtà clinica talune membrane cross- linked performano molto bene in difetti abbastanza contenuti.
D – PTFE vs Collagene?
Analizzando le tecniche di utilizzo delle membrane si può evincere come i principi che devono guidare il posizionamento di una membrana in PTFE siano esattamente gli stessi criteri da adottare nell’utilizzo delle membrane riassorbibili.
C’è poi l’argomento, esteso e non del tutto trattabile in modo esaustivo per mancanza di dati, dei siti la cui morfologia classifica il difetto come contentivo o non contentivo, critico o non critico (quindi con un potenziale di guarigione spontaneo o non spontaneo). E’ questo un vastissimo capitolo in cui entrano in gioco forma e dimensione del difetto, difetto acuto o cronico, potenziale di guarigione del paziente e talvolta la posizione del difetto (per esempio siamo sicuri che nello stesso paziente lo stesso difetto guarirebbe allo stesso modo nel mascellare superiore o nella mandibola?).
D – Ma se le membrane in PTFE hanno una performance assolutamente predicibile (cosa che non sempre si può dire per le membrane riassorbibili) perché usare le riassorbibili?
Non essendoci ancora un protocollo che dimostri quale è, per esempio, la migliore associazione tra “membrana riassorbibile – sostituto osseo”, oltre a:
- non sapere quale siano i difetti limite oltre i quali tali membrane non possono funzionare
- non sapere che tipo di membrana/e usare
dovremmo riaprire sempre le nostre aree di intervento per verificare se veramente è cresciuto un tessuto sufficientemente mineralizzato. Ma se è sempre necessario un secondo intervento decade il senso di utilizzare una membrana riassorbibile che non ci garantisce un’assoluta predicibilità.
D – Alcuni clinici consigliano PTFE per GBR verticale e membrane riassorbibili per GBR orizzontale.
E’ vero. Tuttavia io invito alla massima cautela i colleghi convinti di ricostruire difetti orizzontali del processo alveolare senza in realtà ottenere i risultati sperati.
E’ stimato che oltre il 40% degli impianti dentali venga inserito associato ad una procedura rigenerativa. Il fallimento di tale procedura associata al contestuale posizionamento degli impianti può di per se essere causa di peri-implantite.
Solo quando un protocollo avrà chiarito l’associazione membrana-osso, i difetti limite e le necessarie caratteristiche per una riassorbibile, si materializzerà il vero vantaggio nell’impiego delle membrane riassorbibili che potrà risiedere:
- nella possibilità di fare interventi flap-less per inserire gli impianti
- nella garanzia di formazione di tessuto osseo attorno agli impianti posizionati contestualmente alla GBR senza la necessita di rimuovere la membrana e i dispositivi di fissaggio che potranno rimanere in situ.
Il problema della GBR eseguita con membrane riassorbibili rimane il PROBLEMA ancora irrisolto a quasi 20 anni dalla comparsa di queste membrane. I colleghi che incontro nel mio studio per corsi o frequentazioni in occasione di interventi mi mostrano regolarmente tutti i fallimenti delle GBR eseguiti con membrane riassorbibili.
AUMENTO LOCALIZZATO DI VOLUME
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” DIFETTO OSSEO PASSANTE
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D – Le membrane a veloce o medio riassorbimento possono avere possibilità d’impiego?
Certamente possono essere impiegate in siti estrattivi o al fine di contenere e dare un’iniziale stabilità al particolato dei sostituti ossei, ma queste indicazioni hanno poco a che fare con la stabilità che si cerca quando si impiega una membrana, riassorbibile o non riassorbibile, per la GBR.
D – Ma nonostante la sua criticità verso le riassorbibili sta utilizzandole con successo!
Ho diversi casi (tra cui quelli di questa newsletter) in cui la GBR viene eseguita con una membrana cross-linked (Cytoplast© RTM Collagen) associata ad osso omologo (enCore™ Combination Allograft). I rientri ci consentono di testare clinicamente il tessuto osseo dopo il periodo di guarigione e di verificare come sia in grado di mantenere perfettamente la sua integrità strutturale dopo l’osteotomia e l’inserimento degli impianti.
D – Mi sembra di non averle mai chiesto cosa le piace di più nella vita!
Mi piace quando riesco a trovare il mix ideale tra lavoro e tempo libero.
Mi piace quando riesco a capire quali sono le priorità nella mia vita e, a onor del vero, capita sempre più spesso.
Il dr Marzio Todisco nei giorni 8 e 9 Novembre ripeterà il corso sulla “ricostruzione tridimensionale dei processi alveolari con membrane”. Il corso si articola attraverso la teoria, le chirurgie dal vivo e un workshop pratico.
Ricostruzione tridimensionale dei processi alveolari con membrane. Corso teorico, chirurgico e pratico a numero chiuso.
> Scarica la locandina del corso